Benvenuti nell’Antropocene: dalla resilienza alla biodiversità urbana

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di Clotilde Monti

“Nature and biosphere is not simply a questions of values, something you appreciate or not, it is the prerequisite for all life on this planet”
Carl Folke

 

Perché abbiamo iniziato a pensare alla natura come qualcosa di separato dalla società? Quando abbiamo smesso di considerarci parte integrante dell’ambiente, ma al di sopra di esso? La risposta scontata è l’avvento della globalizzazione.

Da 200 anni ad oggi ed in particolar modo dopo la Seconda Guerra Mondiale, con il crescere del benessere umano si è assistito ad un radicale peggioramento delle condizioni ambientali su tutto il pianeta: piogge acide, buco nell’ozono, effetto serra e scioglimento dei ghiacciai sono solo alcune delle drammatiche conseguenze.

Numerosi scienziati sostengono che siamo entrati in una nuova era, l’Antropocene (dal greco Anthropos, uomo, Kainòs, recente) un’epoca geologica in cui l’ambiente terrestre, inteso come l’insieme delle caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche in cui si svolge ed evolve la vita, è fortemente condizionato dell’azione umana. Per convenzione, l’inizio dell’Antropocene lo si fa risalire al XVIII secolo, quando ha avuto inizio il consistente aumento di immissioni di anidride carbonica  e metano in atmosfera, andando a provocare sostanziali alterazioni degli equilibri naturali1.

Come affrontare questi cambiamenti?

Un approccio di pensiero di tipo resiliente indaga come i sistemi interagenti di persone ed ecosistemi possano essere gestiti in maniera ottimale per far fronte ai disturbi e alle incertezze climatiche che stanno gravando sul pianeta terra, al fine di evitare di rendere sempre meno resilienti i sistemi naturali e i nostri sistemi sociali.

Cosa si intende con resilienza?

Il concetto ecologico di resilienza è stato introdotto da Crawford Holling, sin dai primi anni Settanta, e definisce la “capacità dei sistemi naturali o dei Social Ecological Systems (i sistemi integrati ecologici ed umani), di assorbire un disturbo e di riorganizzarsi mentre ha luogo il cambiamento, in modo tale da mantenere ancora essenzialmente le stesse funzioni “.

Il sistema ha la possibilità quindi di evolvere in stati multipli, diversi da quello precedente al disturbo, garantendo il mantenimento della vitalità delle funzioni e delle strutture del sistema stesso. La resilienza di un ecosistema costituisce quindi la sua capacità di tolleranza di un disturbo senza collassare in uno stato qualitativo differente.

Il pensiero resiliente

Il pensiero resiliente abbraccia l’apprendimento, la diversità e la capacità di adattarsi ad una vasta gamma di sfide complesse. Per capire tale concetto è necessario ricollegarsi ai Sistemi Socio-Ecologici (SSE) ovvero le interrelazioni che intercorrono tra l’ambiente e l’attività umana, o meglio tra sistemi ecologici e sistemi umani. Importante è ricordare che non esiste ambiente senza l’uomo e neppure sistemi sociali senza l’ambiente.

Il tentativo principe del pensiero socio-ecologico è quello di trovare modi innovativi per riconnettersi con la biosfera.

Come riconnettersi alla biosfera, la nuova sfida del XXI secolo

Che l’umanità sia di fronte a una grave crisi ecologica è un fatto noto. L’azione umana sta giocando un ruolo preminente nella modifica dei processi della biosfera ed è necessario trovare una soluzione al fine di limitare il nostro impatto sui sistemi ambientali.

Per riconnetterci alla biosfera è innanzitutto necessario un cambiamento a livello mentale: le società e le economie sono parte integrante della biosfera e, a tal proposito, le tematiche ambientali dovrebbero assumere un ruolo più di spicco anche all’interno delle agende politiche. Imparare a gestire e governare il nostro capitale naturale risulta necessario non solo per l’ambiente ma anche, e soprattutto, per il nostro sviluppo.

Una delle più grandi sfide che dovremmo affrontare è l’urbanizzazione antropica.

Il video “Un Pianeta urbanizzato” mostra quanto l’urbanizzazione sia ampia e allo stesso tempo ci fa riflettere sul fatto che la massima espansione coincide con zone adiacenti a punti molto importanti per la loro biodiversità.

Urbanizzazione come opportunità

Nonostante queste premesse nefaste, secondo la prima valutazione globale del rapporto tra perdita di biodiversità e urbanizzazione, l’aumento di quest’ultima fornisce anche la possibilità di modificare i cambiamenti climatici, ridurre la scarsità d’acqua e migliorare la sicurezza alimentare.
La CBO (cities and biodiversity outlook) sostiene che le città dovrebbero facilitare una ricca biodiversità.
I dati di tale ricerca dimostrano che oltre il sessanta per cento della superficie terrestre, atta a divenire urbana entro il 2030, oggi non è ancora stata edificata . Se le tendenze attuali continuano, il settanta per cento della popolazione mondiale sarà urbano entro il 2050: la sfida pertanto è quella di cambiare il modo di pensare le città favorendo la sostenibilità globale.

Le aree urbane sono state spesso additate come giungle di cemento caratterizzate da terreni sterili, incolti e inospitali per la vita vegetale e animale. Questa descrizione non è del tutto appropriata, numerose città dei diversi continenti sono invece significativamente importanti per la biodiversità: Bruxelles, Città del Capo, Chicago, Città del Messico, New York e Singapore per citarne solo alcune. Per rimanere “a casa nostra”, a Roma sono state censite ben 1285 specie di piante spontanee, nel territorio di Torino nidificano 90 specie di uccelli e a Firenze 86.

Molte delle aree urbane situate in punti caldi di biodiversità2 sono notevoli dal punto di vista della loro estensione geografica e della popolazione. Queste città sono fondamentali per la persistenza di ricche risorse biologiche e dei servizi ecosistemici fondamentali.

Come valorizzare la biodiversità urbana

CBO
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Ogni città è in grado di realizzare interventi che valorizzino la biodiversità. Collegare gli ecosistemi frammentati è una delle strategie utili per aumentare la funzione ecologica. Corridoi multistrato di piantagioni lungo i bordi delle strade e banchine, introduzione di “corridoi verdi” che si connettono a macchie di vegetazione più grandi, tunnel e cavalcavia vegetali o ancora il ripristino e il potenziamento delle aree verdi già esistenti sono solo alcune delle possibili soluzioni per migliorare la biodiversità urbana e per mantenere l’equilibrio climatico, idrologico ed idrogeologico, evitando la desertificazione.

Il verde urbano ha dunque lo scopo di migliorare la qualità ambientale e la qualità della vita dei cittadini. Semplicemente migliorando la resilienza dei servizi ecosistemici esistenti si possono esacerbare le disuguaglianze.

È tempo di cambiare percezione. È tempo di riconnettersi con la natura.

Fonti: Cities and biodiversity outlook

           Stockholm Resilence Centre

           Enciclopedia Treccani

           Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale


Note:

1. Definizione Treccani online

2. Definiti anche hotspot di biodiversità, sono trentaquattro luoghi sulla faccia della Terra in cui vive la maggior parte della biodiversità. Per essere qualificato come hotspot un luogo deve avere almeno 1500 vegetali endemici (0,5 del totale planetario) e deve aver subito perdite per almeno il 70% dell’habitat originario.

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