Cheesy, o l’inaspettata virtù della puzza di formaggio

bboat

di Daniele Martinello

Prima del viaggio

La comicità può essere una speciale arte delle relazioni, dove talvolta personaggi, animali, mondo organico e inorganico sono in regime di fiabesca e plastica parità. Proviamo a unire questa prospettiva con la tradizione letteraria del viaggio, dove il confronto tra persone e ambiente sembra più evidente; si trova in un simile incrocio Tre uomini in barca (per tacer del cane) di Jerome K. Jerome, pubblicato nel 1889.
Il romanzo narra la sgangherata gita di tre perdigiorno londinesi nella valle del Tamigi, ma non solo: è un gustoso diario di bordo, una guida turistica, una raccolta spontanea di racconti (il narratore, nel libro sempre chiamato “J.”, si diverte a interrompere di continuo la storia principale con digressioni, ricordi e storielle laterali); inoltre, come capita nelle migliori opere comiche, custodisce spensierate rivelazioni sul costume minuto dell’uomo, e sul suo rapporto accidentato e spesso buffamente paritario con il mondo attorno a sé. In proposito, qui guarderemo a un curioso caso alimentare, che percorre poche pagine del libro.
C’è in vari romanzi di viaggio e di avventura una regione domestica, preliminare alla partenza, alle peripezie più forti, segnata da accenni al cibo o al ristoro in genere. E’ il caso delle pere offerte da Geppetto a Pinocchio, del pasticcio freddo dato in premio dal conte Trewlaney a Jim Hawkins ne L’isola del tesoro, del bicchiere di vino che non calma don Abbondio, della zuppa di pesce gustata da Ishmael e Queequeg in Moby Dick. Nel quarto capitolo di Tre uomini in barca i protagonisti dibattono a lungo su quello che J. chiama “questione alimentare”, cioè quali provviste scegliere per la gita in barca. Spunta così nel confronto l’obiezione alla presenza del formaggio, per il suo odore invadente. Da qui la molla che fa inserire al narratore il ricordo di una sua ridicola avventura, lo strano caso di due particolari forme di cacio. È una tra le tante digressioni del libro; un episodio puzzolente e, nella sua semplicità spassosa, non privo di misteri e forse lezioni segrete su come scrivere, osservare e trattare la realtà. Una storiella che potrebbe vestire a sorpresa i panni di una beffarda parabola ecologica.

Lo strano caso

Anni prima della gita fluviale un amico di J., a Liverpool, affida al narratore due “magnifici formaggi stagionati e pastosi” da portare a Londra; la loro caratteristica più evidente è un odore potente, da ordigno dantesco, per molti pestilenziale. Il brano, che potrebbe essere senza forzature un racconto autonomo, è la storia del viaggio con i formaggi e delle imprevedibili conseguenze della loro presenza in vari ambienti. Infatti le due forme sono le vere protagoniste della vicenda: con gli ambigui effetti da esse sprigionati dominano quel teatro della parità tra persone, animali e cose che può essere, come si diceva, tra i caratteri del comico. Questa strana coppia insomma è capace di lasciare il segno su bestie, treni, famiglie, grandi spazi.
Così il loro fetore, spinto dal vento, investe il decrepito cavallo che tira verso la stazione la carrozza sulla quale si trovano narratore e formaggi, spaventandolo ma allo stesso tempo donandogli una seconda giovinezza, come una droga naturale.
Quindi J. prende posto nell’affollato treno per Londra. Lì i formaggi provocano disagi silenziosi, proteste e allusioni macabre; ben presto lo scompartimento si svuota, e J. si ritrova senza compagni di viaggio. La sua comoda solitudine, in un treno che stazione dopo stazione è sempre più zeppo di viaggiatori, continuerà fino all’arrivo a destinazione. La puzza continua a produrre effetti cattivi e benefici insieme.
Arrivati a Londra, ecco l’affaire domestico che porta allo scioglimento del caso. La moglie dell’amico reagisce all’arrivo dei due ospiti come di fronte a un segreto torbido, una storia di corna o di sangue. Per superare la crisi familiare, l’amico di J. rinuncia a malincuore al suo acquisto. Ma non è facile liberarsi dei formaggi; come con un ingombrante fardello da libro giallo, occultarli può essere un’impresa complessa.
Segue infatti la rapida e bizzarra serie di tentativi per la loro sepoltura. Tra torbidi canali e obitori parrocchiali, si aggiungono tratti inquietanti ai già preoccupanti formaggi, che però trovano al termine della vicenda la loro definitiva riabilitazione.
È in un ambiente di mare che essi trovano il riposo finale. L’amico di J. li interra su una spiaggia, dove cureranno a lungo malattie polmonari, per l’incrocio di chissà quali sali o quali venti: un ribaltamento piuttosto geniale della loro natura.

I formaggi sul treno, in un’illustrazione di A. Frederics per la prima edizione del romanzo

Ecologia buffa

L’aggettivo cheesy ha due principali traduzioni: la prima è, si capisce, quella di attributo del formaggio; la seconda, più cattiva, indica informalmente ciò che pare forzato, un po’ stupido, dozzinale, scadente. Tra queste righe girano entrambe, ma è un rischio da correre. È infatti possibile che un brano d’aspetto superficiale, per giunta sulla puzza di formaggio, suggerisca tuttavia pensieri più o meno seri sulla scrittura e sulla lettura del mondo.
Parole grosse? Ma l’iperbole è tra i più usati ferri del mestiere comico, perché allora non pagare Jerome con la stessa moneta? Alla sua buffa amplificazione di un caso banale risponderemo con un’amplificazione arbitraria della lettura. È chiaro che l’episodio e il romanzo stesso camminano benissimo anche senza commenti più o meno pertinenti. Il libretto di Jerome è felicemente fine a sé stesso, non un testo “necessario” o “importante”, ma solo un repertorio di belle storie, dalla scrittura efficace, spensierata, astuta. È solo questo, ed è già molto. Tuttavia seguiamo l’esempio di J., e divaghiamo.
La storiella, oltre a essere un bell’esempio della scrittura di Jerome, è solo un gioco attorno a un alimento, o meglio attorno al suo odore. Ma la dimensione del gioco non va sottovalutata, anzi può essere una posizione congeniale per rapportarsi con l’ambiente, in senso lato. Le alterne vicende delle forme di cacio, ora pestilenziali ora benefiche, sviluppano un viaggio fatto di pro e contro, dove essi danno un gran fastidio, ma allo stesso tempo collaborano in qualche modo con gli spazi dove si trovano, con imprevisti e diversi effetti. Si potrebbe quasi leggere il brano come un assurdo romanzetto picaresco, di formazione, che trova la sua felice conclusione nella promozione dei formaggi a farmaco balneare.
Ci sarebbe dunque nel testo un certo carattere paradossalmente ecologico: l’orizzontalità che lega ogni elemento della storiella; uomini, donne, animali, terra e aria vengono coinvolti con la stessa forza comica dai pazzeschi effetti dei formaggi. Questo principio umoristico può funzionare lateralmente da antidoto a una concezione angusta, antropocentrica della realtà.
Tra i fini dell’ecologia c’è infatti quello di rafforzare la percezione della complessità. In una dimensione parallela e meno militante, per così dire, la comicità è così anche una palestra per spettatori o lettori che vogliano allenarsi a osservare ogni cosa con attenzione divertita e capillare, a considerare interdipendenze, relazioni nascoste, incroci causali tra i vari elementi di ciò che si vede.
L’ecologia è anche conoscenza della circolarità, dell’adattamento. Analogamente, le minute avventure comiche, dopo traumi, capitomboli, brusche svolte, approdano spesso a un finale conciliante o allegramente aperto. Non è difficile riconoscere il beffardo senso di adattamento dei formaggi, passati da untori a sotterranea cura medica.

Arie parallele e invadenti

Ma è possibile trarre liberamente spunti così seri da un racconto umoristico, innocuo, un po’ cheesy?
In effetti, quelle forme inerti che svegliano cavalli, liberano scompartimenti ferroviari, resuscitano i morti, curano i tisici, sono state inventate per vivere in poche pagine e divertire chi scrive e chi legge, non per altro.
Ma si tratta sempre di formaggio puzzolente, invadente.
Giorgio Manganelli, che scrisse anche impressioni acute sulla piccola arte di Jerome, sosteneva la strategia critica del libro parallelo. È un gioco della lettura, un commento fantastico ma documentato che raddoppia il testo, magari lo complica, sfrutta indizi per scovare significati nuovi, talvolta improbabili ma possibili. Come dice Manganelli, è un modo “molto orientale”, valido per ogni libro, e può ricordare i commenti “amplificativi” ai testi islamici; lì “la parola, il versetto, sono usati come un colpo di gong. [e] l’alone musicale che parte da lì è il commento.”1

Insomma una lettura un po’ abusiva, arbitraria, fallibile, che può tuttavia divertire e aprire gli occhi su scenari curiosi. La storiella dei formaggi, una piccola epopea dell’invadenza, non sprigiona aloni musicali ma ben altre arie. Quella puzza può essere un pretesto, un promemoria o un piccolo simbolo. Ricorda le inaspettate virtù dell’osservazione comica del mondo: questa, così larga, modellabile, un po’ anarchica, può suggerire una ecologica invadenza dell’immaginazione verso tutto ciò che aspetta o passa fuori dalla finestra.

Il famigerato brano del romanzo, in una nuova traduzione per Green Onions (clicca sul link per aprire il pdf): Storia di due formaggi


Note

1Da “Povero burattino diventato ragazzo”, intervista di Livia Giustolisi a Giorgio Manganelli, in La penombra mentale. Interviste e conversazioni 1965-1990, Editori Riuniti, Roma 2001.

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