Nuovi ecoreati: ecogiustizia è fatta?

Pollution-environment-by-Saravanan-Dhandapani-via-Flickr-1di Maria Rosaria Todisco

Dopo anni in cui sono rimasti pendenti in Parlamento svariati disegni di legge sui c.d. “ecoreati”, finalmente il 29 maggio di quest’anno è entrata in vigore la Legge 22 maggio 2015, n. 68 che, fra le varie novità, ha introdotto nel codice penale italiano il titolo VI-bis, intitolato “Dei delitti contro l’ambiente”, costituito da 12 articoli, fra cui l’inquinamento e il disastro ambientale.

Fino ad un anno fa, l’inquinamento idrico, acustico, atmosferico e da rifiuti costituiva una materia disciplinata da sanzioni amministrative; la collocazione odierna dei delitti contro l’ambiente all’interno del codice penale ha la ricaduta di far acquisire una giusta valenza al bene ambiente, anche nell’immaginario della popolazione, prevedendo pene più rigide.

La legge è stata approvata a larga maggioranza con 170 voti favorevoli al Senato e 353 alla Camera oltre all’appoggio delle principali associazioni ambientaliste fra le quali Legambiente e il WWF. All’indomani della sua entrata in vigore, la reazione immediata è stata per lo più entusiasta, tanto che sul sito di Legambiente è apparso un articolo intitolato: «Dopo 21 anni di battaglie gli ecoreati sono nel codice penale: ecogiustizia è fatta!»
In effetti, dopo più di vent’anni di attesa, caratterizzati da casi di inquinamento o disastro ambientale rimasti impuniti, una svolta in tal senso appare epocale e la speranza è che la previsione di questi nuovi articoli sarà idonea a scoraggiare i comportamenti illeciti.

Tuttavia, messi da parte gli entusiasmi iniziali, gli ambientalisti stanno evidenziando i dubbi e le numerose problematiche di tale riforma.
La prima critica, avanzata già in fase di approvazione del disegno di legge, riguarda lo stretto collegamento fra diritto e logiche economiche posto alla base del lungo iter politico-parlamentare. Il Presidente di Confidustria Giorgio Squinzi, durante l’Assemblea Nazionale del 28 maggio 2015, ha definito il progetto di legge «una giurisprudenza studiata scientificamente contro l’impresa», in molti hanno invece rilevato come alcuni aspetti della riforma “strizzano l’occhio” agli interessi imprenditoriali.

Esempio emblematico di tale logica è stata l’eliminazione, in corso di approvazione della legge, della fattispecie criminosa relativa all’ispezione di fondali marini, la quale avrebbe impedito l’utilizzo di una particolare tecnica di ricerca degli idrocarburi in mare, denominata Air Gun, mediante la quale è possibile individuare giacimenti petroliferi sui fondali marini generando onde compressionali, che emettono bolle di aria compressa nell’acqua. In questo caso si sono privilegiati gli interessi delle società petrolifere, a discapito dell’ambiente marino e della fauna, in particolare dei grossi cetacei, che sfruttano i suoni a bassa frequenza per la comunicazione, l’orientamento e l’individuazione delle prede.

Altra criticità è evidenziata sull’utilizzo di una terminologia in molti casi non precisa. Nel cercare una giusta definizione giuridica di ambiente, appare, infatti, estremamente difficile non cadere nell’errore o di adottare formule legislative corrette sotto il profilo della completezza ma eccessivamente ampie e dunque poco utili nella pratica, o al contrario definizioni più delimitate, prendendo ad oggetto specifici beni di riferimento (acqua, aria, suolo…), rischiando però di lasciare vuoti normativi.
Il legislatore ha optato per un’ampia utilizzazione di formule evanescenti, quali ad esempio “deterioramento significativo”, “alterazione irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema”, “pericolo di compromissione”, che, con elevata probabilità, comporteranno numerose difficoltà tecniche nell’applicazione dei reati nei processi.
Inoltre, nella maggior parte dei casi, le alterazioni dell’equilibrio di entità complesse come gli ecosistemi o la flora e la fauna, vengono rilevate solo a distanza di anni, rendendo così ancora più ostico individuare i fenomeni che hanno concorso alla provocazione del danno. Spesso poi le condotte sono segmentate nel corso del tempo, in questo modo la compromissione è il risultato di più azioni, anche differenti fra loro, e non sempre addebitabili al medesimo soggetto.
Al fine di risolvere queste future problematiche, negli ultimi tempi è stata prevista l’istituzione di una Commissione di magistrati e professori, presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Roma, con il compito di valutare possibili modifiche alla recente legge.

La tutela dell’ambiente necessita di norme che non lascino adito a dubbi o scappatoie, solo così sarà possibile evitare in futuro che si ripresentino condizioni di impunità pur in presenza di gravi situazioni di inquinamento o disastro ambientale.

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