Turner e Friedrich: il nuovo sentimento naturale nella cultura figurativa romantica

turnerfriedrichdi Luca Mastorino

La nascita di un sentimento naturale, come principio di un più moderno sentimento ambientalista, non può che essere ricollegata allo sviluppo di una filosofia e di una poetica romantica figlia del fruttuoso avvicendarsi tra la reazione all’illuminismo, l’accettazione dello stato di natura nell’ottica di Rousseau e un più antico sentimento bucolico, cresciuto all’ombra del mito dell’arcadia. Nelle arti figurative i campioni di questo sentimento sono il tedesco Friedrich e gli inglesi Turner e Constable.

Si potrebbe pensare che il confronto fra Caspar David Friedrich e William Mallor Turner sia ormai al di fuori da ogni problematicità. In tutti i testi di storia dell’arte possiamo trovare svariati paragoni tra i due pittori quasi coetanei – Friedrich è del 1774, Turner del 1775. A ben guardare le affinità fra i due tendono ad essere ridotte quasi sempre alla loro propensione al dato naturale, alla nuova concezione dell’uomo romantico in relazione a ciò che c’è fuori di lui, al non-Io fichtiano. Possiamo dire con una certa tranquillità che anche la relazione con il mondo della natura risulta completamente diversa: questa differenza nasce nella sostanziale consapevolezza di Friedrich della propria differenza rispetto all’arte tedesca contemporanea, e alla totale estraneità di interesse nei confronti dei movimenti culturali contemporanei da parte di Turner.

Viandante sul mare di nebbia, Caspar David Friedrich, 1818

Friedrich era ben conscio di rappresentare con la sua pittura l’ambiente culturale d’avanguardia di Dresda nei primi dell’800, che includeva peraltro i suoi amici Schlegel e Schelling. Non solo nei temi delle opere di Friedrich troviamo tratteggiate le idee espresse nelle poesie del suo amico Novalis, e nei testi del filosofo idealista Schelling, ma anche nella forma stessa dei suoi dipinti possiamo ritrovarle. Prendiamo il Viandante sul mare di Nebbia: molti hanno voluto vedere nell’opera la rappresentazione del tema della commozione dell’uomo davanti allo spettacolo naturale, ma questo non può che essere inesatto o quanto meno scorretto. Forse per una certa debolezza del pittore nell’anatomia dei volti – sono infatti pressoché assenti sono i ritratti nella produzione di Friedrich – l’uomo di spalle biondo, ben vestito, che con nonchalance sovrasta l’altura, sembra rappresentare le soddisfazioni ottenute in vita dal pittore, talmente contento della sua posizione di insegnate di pittura a Dresda che rifiuterà di fare il Gran Tour in Italia. Non solo: sembra anche esprimere quella condizione dell’uomo rispetto alla natura di massima espressione dello spirito rispetto alla sua preistoria nel dato naturale.

Lo spirito per Schelling, il cui pensiero, come detto, ha influenzato il lavoro del pittore tedesco, si sarebbe via via smaterializzato ed elevato dal dato inorganico all’organico, fino all’apoteosi nell’uomo come scrive nel suo Sistema dell’Idealismo trascendente : “La natura attinge il suo più alto fine, che è quello di divenire interamente obbietto a sé medesima, con l’ultima e la più alta riflessione, che non è altro se non l’uomo[…]”. Questo concetto sarà poi fatto rientrare nel sistema dialettico Hegeliano qualche anno più tardi. La pittura stessa di Friedrich genuina, coi suoi colori limpidi e pacati, non sfaldati, le pennellata precisa delicata, l’uso di una composizione triangolare che ha il suo apice nella testa dell’uomo, le linee nette e composte, sembra escludere ogni connessione reale e diretta con la natura, e rivela un’attitudine intellettuale, trattenuta e meditata nei confronti della pittura. Sempre Schelling nel suo famoso Idee per una filosofia della Natura afferma: “Egualmente siete non meno costretti ad ammettere che il finalismo dei prodotti naturali risiede in se stessi, che esso è oggettivo e reale, che dunque non appartiene alle vostre rappresentazioni arbitrarie, ma a quelle necessarie”. Quindi sembrerebbe che la ricerca del senso ultimo dell’uomo, del suo spirito al di fuori di sé nella natura sia destinato al fallimento nella filosofia tedesca: non solo lo scarto della civiltà ha implacabilmente allontanato l’uomo dallo stato naturale ma tale differenza è puramente ontologica. Tuttavia qualche riga dopo troviamo: “La Natura dev’essere lo spirito visibile, lo spirito la natura invisibile. Qui dunque, nell’assoluta identità dello spirito in noi e della natura fuori di noi, si deve risolvere il problema di come sia possibile una natura fuori di noi”. La connessione fra l’uomo e la natura nell’opera di Friedrich come nel pensiero di Schelling è nascosta, non sensibile, è ricerca intellettuale e mistica e come tale risiede dietro l’immagine dell’opera, nel contrasto dialettico fra l’uomo ben vestito e il paesaggio nebbioso.

La valorosa Téméraire, William Turner, 1838-1839

In Turner tutto questo manca: infatti non solo egli non conosceva la filosofia tedesca contemporanea, ma anche la sua esperienza, in quanto inglese, risulta essere antitetica a quella tedesca. La Germania aveva vissuto sulla propria pelle l’esaltazione illuministica della rivoluzione Francese e il suo naufragio nelle successive guerre Napoleoniche: per questo ed altri motivi la fuga nella natura della filosofia tedesca non poteva che essere di reazione al razionalismo precedente, alla civiltà moderna e anche a quella precedente in una sorta di fuga verso un mitico passato roussoniano. L’Inghilterra dal canto suo attraversò negli stessi anni una rivoluzione, quella industriale, altrettanto drammatica, ed è nella reazione a questa che si sviluppano la poetica e la forma di Turner. Un’opera come “La valorosa Téméraire trainata all’ultimo ancoraggio per essere demolita” del 1838 rivela l’entità di questa rottura con la tradizione: l’industria aveva stravolto il panorama inglese, la rivoluzione industriale mandava in pensione le antiche e temerarie navi con i suoi telai, col suo carbone e le sue macchine a vapore. La naturale misantropia del pittore sommata ad un mondo che col passare degli anni si allontanava dall’ideale paesaggio arcadico dei pittori seicenteschi, cresciuto sugli esempi di Tiziano Lorrain e Poussin, portarono Turner a compiere viaggi nei territori più isolati d’Europa, ad esempio sulle alpi svizzere del Brennero, e a gesti estremi, come farsi legare sugli alberi maestri delle navi, per ritrovare lo stupore e il terrore di una natura che il suo Paese natale stava abbandonando sotto l’incedere del progresso. Solo alla morte di Turner la Germania di Friedrich avrebbe iniziato il processo di industrializzazione.

Bufera di Neve. Annibale e il suo esercito attraversano le alpi, William Turner, 1812

Se osserviamo un altro suo dipinto come “Bufera di Neve. Annibale e il suo esercito attraversano le alpi” riusciamo a cogliere il tentativo, forse vano, di fusione con il paesaggio: non più rapporto dialettico, non più spirito nascosto, ma abbandono sensista volutamente irrazionale al dato fenomeno naturale e registrazione della potenza orrorifica e totalizzante di quest’ultima, in una sintesi titanica fra amore e terrore. La pittura stessa, un’ estrema frantumazione del tratto roccocó di Fragonard, si china, per volontà del pittore, al suo ideale amalgama: non è solo l’uomo che si fonde con la natura ma anche quest’ultima che nelle sue espressioni violente riporta l’industrioso e baconiano uomo al suo posto, nell’alveo dei fenomeni accidentali che da essa derivano. Negli anni ’80 del 1700 proprio un pastore tedesco, Georg Christoph Tobler, sembra evocare con quindici anni di anticipo la pittura di Turner e restituisce forse la più compiuta visione sulla natura romantica, visione che è il germe di quella moderna: “Natura! Noi siamo da essa circondati e avvinti, senza poter da essa uscire e senza poter entrare in essa più profondamente. Non inviati e non avvertiti, essa ci prende nel giro della sua danza e ci attrae nel vortice, finchè, stanchi cadiamo nelle sue braccia. -Essa crea eternamente nuove forze: ciò ch’è ora non era ancora, ciò che era non torna, tutto è nuovo e non di meno sempre antico. – Noi viviamo nel mezzo di essa, e le siamo estranei. Essa parla incessantemente con noi, e non ci palesa il suo segreto. Noi operiamo costantemente su di essa, e tuttavia non abbiamo su di essa nessun potere.”

E’ dall’opera di questi due pittori, portavoce estremi nel figurativo dei sentimenti loro contemporanei, che possiamo astrarre due visioni del dato naturale, non sempre contrapposte, che negli anni successivi andranno a sviluppare una più compiuta filosofia dell’ambiente. Se da Friedrich e la scuola schellinghiana nasce per via diretta il sentimento misticheggiante di un Thoreau o di un Emerson, Turner è portavoce inconsapevole, nella sua rivolta contro l’industria, di quelle visioni ambientaliste laiche e sensiste che caratterizzeranno il XX secolo fino ad interessare la nostra epoca.

Precedente Processo Eternit: fra diritto e giustizia Successivo "Scarti" di Jonathan Miles