Home: le città invivibili della nostra casa dolce casa…

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di Fabio Dellavalle

Home è un film-documentario di Yann Arthus-Bertrand su ambiente e cambiamento climatico, prodotto nel 2009 da Luc Besson e progettato come un reportage di viaggio volto a sondare lo stato di salute generale della Terra. L’intento è pertanto quello di denunciare i contraccolpi e gli effetti collaterali dell’attuale stile di vita iperconsumistico e dilapidatore, che sta seriamente mettendo a repentaglio il futuro (ma anche il presente) del nostro pianeta, che si preannuncia quantomeno problematico.

Grazie a inquadrature aeree spettacolari il lungometraggio regala una vertiginosa prospettiva dall’alto, che aiuta lo spettatore a comprendere meglio che la natura tutta è intimamente collegata da un delicato equilibrio: come insegna la dottrina dell’organicismo, ogni parte è in funzione del tutto. Una curiosità: le telecamere impiegate per le riprese dall’elicottero, automaticamente in grado di limitare le vibrazioni contribuendo così a catturare immagini molto stabili e di purissima qualità, sono state in origine progettate per scopi militari. Anche il registro narrativo è in qualche modo “alto”, essendo dipanato con un linguaggio quasi sacrale: così appare difatti il “miracolo della vita”.

Il film esamina quindi le nefaste conseguenze delle attività umane sull’ecosistema. Effettivamente, dalla rivoluzione agricola in avanti l’impatto sulla natura è stato sempre maggiore, fomentato da un incontrollato processo di urbanizzazione. L’odierna situazione degli allevamenti bovini, il disboscamento in Amazzonia, l’eccessiva estrazione di materie prime dai recessi della Terra, la crescente richiesta di elettricità, il problema del petrolio e degli altri combustibili fossili, lo scioglimento dei ghiacciai in Antartide e al Polo Nord, la desertificazione delle paludi e dei grandi fiumi in Africa: sono alcuni dei punti critici della crisi ecologica in atto, che occorre combattere e sconfiggere. Ma la rovina dell’ambiente si combina pure col dissesto della società umana, esemplificata da fenomeni migratori di massa e rifugiati climatici, nonché dalle vistose disuguaglianze socioeconomiche. Parimenti, metropoli come Las Vegas, Mumbai o Tokyo assurgono al ruolo di modello negativo in quanto a gestione delle limitate risorse del pianeta, considerati i loro folli sprechi di energia, acqua e cibo.

Dai vulcani alle prime alghe monocellulari la vita di Gaia è trascorsa lungo un arco di tempo assai dilatato (più o meno 4 miliardi di anni). Fino all’incirca al 1750: epoca che ha dato inizio alla rivoluzione industriale e, di conseguenza, all’Antropocene. “Veloce, sempre più veloce”: è il mantra scandito dalla nostra frenetica società dell’usa-e-getta, in cui i beni di consumo (e forse anche le persone, come insegna Vite di scarto del sociologo polacco Zygmunt Bauman) vengono gettati e sostituiti in un batti baleno. Dubai diventa allora l’emblema della tracotanza occidentale (impianti sciistici “innevati” in mezzo al deserto…); il simbolo di una postmodernità priva di punti cardinali e riferimenti spaziotemporali. Anzi, il tempo si misura ormai in spazio, frazionato in fusi orari che sezionano il globo terrestre rendendolo, appunto, un planisfero. Società piatta dove vive L’uomo a una dimensione, direbbe Herbert Marcuse, esistenzialista tedesco tra gli ispiratori teorici del Sessantotto francese. A tal proposito Günther Anders racconta nell’aneddoto Il Giobbe dei nostri giorni di un uomo d’affari che, osservando fuori dal finestrino di un aereo, si lamenta per la sterminata quantità di materia – terra e acqua – sprecata dal Creatore, poiché assolutamente inutile, anzi un ostacolo per chi come lui è costretto a viaggiare costantemente per lavoro.

L’allucinazione blasfema della delirante società dei consumi sarebbe infatti quella di livellare completamente ogni asperità, per creare una superficie omologante priva di attrito, che smussi l’Alterità (biodiversità e pluralismo culturale) in una orizzontalità priva di volume e profondità. Un po’ come capita in Flatlandia, romanzo fantastico scritto nel 1884 dal reverendo inglese Edwin Abbott, dove il protagonista è un quadrato che abita in un luogo a sole due dimensioni e che, nel corso della vicenda, visita “Linelandia” (monodimensionale), “Pointlandia” (adimensionale, dove tutto l’universo corrisponde al re del posto) e, infine, “Spacelandia” (tridimensionale). Quello di cui abbiamo bisogno è proprio un innalzamento etico, soprattutto a livello di strategie di sopravvivenza. Serve in altri termini un pensiero critico e sostenibile, stratificato, che ci riporti in un certo senso coi piedi per terra, a contatto col suolo (materia prima), che ci assicuri un autentico permesso di soggiorno, dopo aver svolto responsabilmente le nostre faccende domestiche, alla stregua di umili casalinghi planetari. Perché sembra che questa umanità nomade e vagabonda, senza fissa dimora, dimentica della propria casa terrestre, soffra di un jet lag cronico che la stordisce quotidianamente. Viviamo infatti bombardati da un continuo flusso di dati, informazioni edulcorate che straripano attraverso i nostri schermi (tv e Pc) sotto forma di cristalli liquidi. È il gioco di prestigio della pubblicità: i trucchi del marketing, capace di nascondere la sua assistente (la natura) per farla riapparire con le spoglie di gadgets prodotti in serie, pronti per finire in vetrina ed essere smerciati in un nuovo centro commerciale.

Ecco quindi che l’obiettivo della cinepresa si posa su Los Angeles, la città dove si assiste allo spettacolo dell’energia artificiale: luci fluorescenti e suoni sintetici, a testimoniare la potenza dell’uomo sull’ambiente circostante. Ma adesso “angeli” possono essere chiamati forse soltanto i netturbini, che rimuovono alla fine di ogni giornata la mole spropositata di rifiuti – veri fashion victims: i sacchi neri pieni d’immondizia lasciati fuori dai locali pubblici e privati, in cui sono rinchiusi i cadaveri del nostro globalizzato american way of living. Come avviene nella polis edificata dalla fantasia di Italo Calvino – architetto di castelli di carte – Leonia, le cui mura sono costituite dalla spazzatura che ogni ventiquattrore i suoi abitanti accumulano, gettando le robe vecchie letteralmente di ieri.

Il filosofo della postmodernità Jean Baudrillard, nel suo America, descrive le megalopoli statunitensi come Las Vegas: quasi un circo surreale costruito sopra al deserto della Death Valley. Più precisamente egli conia la categoria dell’iperrealtà per inserirvi queste nuove città fantasma – una sorta di “non-luoghi”, direbbe un altro francese quale Marc Augè –, quasi della stessa pasta di cui è fatto Disneyland, il parco tematico analizzato nelle sue implicazioni ontologiche dal grande semiologo Umberto Eco. Ma che cosa succede se i non-luoghi, per così dire, spuntano qua e là come i funghi tossici che Marcovaldo – altro memorabile personaggio disegnato da Calvino – raccoglie a iosa nelle aiuole nel centro cittadino? Cosa succede se le paradisiache utopie irrealistiche, come il giardino dell’Eden sognato di volta in volta dai vari Pangloss (Candido, o l’ottimismo di Voltaire) neoliberisti che ci assicurano di vivere nel “migliore dei mondi possibili”, si trasformano in distopie infernali? Ancora, se le repubbliche immaginarie della letteratura fantascientifica come le Città invisibili di Calvino esistono sul serio e sono, più propriamente, città invivibili?

Il nocciolo caldo al cuore di Home è però il focus sul climate change: riscaldamento globale delle temperature, buco dell’ozono, innalzamento del livello del mare e fenomeni meteorologici estremi. Ecco quelli che dovrebbero essere i punti all’ordine del giorno sulle agende dei politici mondiali i quali, invece, sembrano miopi o sordi – oltre che arroccati su posizioni isolazioniste e indipendentiste – nei confronti del reale stato del pianeta. Queste idee sono state puntualmente diffuse e sottolineate a gran voce da Aurelio Peccei, fondatore nel 1968 del Club di Roma, anche se ai più il suo nome suonerà inedito…

In realtà, il finale del film mostra che è oramai troppo tardi per essere pessimisti. Sono molte le azioni positive da cui i cittadini possono partire per innescare una vera rivoluzione sostenibile: energie rinnovabili (“imparare a coltivare il sole”), la creazione di parchi nazionali, la condivisione di pratiche virtuose a livello ambientale. Concludendo, Home è uscito gratuitamente il 5 maggio 2009, in concomitanza con la Giornata Mondiale dell’Ambiente. La versione da 90 minuti è disponibile su https://www.youtube.com/watch?v=I1fQ-3-CEFg. Il regista Yann Arthus-Bertrand ha successivamente firmato un altro incantevole documentario (Home – Storia di un viaggio: https://www.youtube.com/watch?v=VBSYzcGRUw0) in cui egli stesso commenta i fotogrammi che si susseguono davanti agli occhi di chi si sente davvero abitante del pianeta Terra.

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