L’importanza di essere terrestri

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di Barbara Andreotti

Tutti abbiamo un’esperienza più o meno diretta degli animali, con diversi sentimenti e atteggiamenti nei loro confronti. In ogni caso essi fanno parte delle nostre vite, come parte integrante dell’ambiente dove viviamo. Spesso emerge da parte dell’essere umano la tendenza a considerare l’animale come una graziosa creatura priva di sentimenti e di intelligenza, un essere inferiore da educare in qualche caso e da sfruttare in molti, troppi casi.

Ma davvero gli altri animali dovrebbero essere a noi subordinati? È quello appena accennato il modo più corretto di convivere con il resto della fauna terrestre? Queste sono le la domande alle quali Earthlings – Terrestri, opera del 2005 di Shaun Monson, cerca di dare una risposta. Il documentario è catalogabile come footage, ovvero un prodotto cinematografico montato senza passare dalla postproduzione: spesso girato utilizzando mezzi di fortuna, con immagini talvolta mosse o di bassa qualità; insomma un modo di fare cinema “in presa diretta”, con immagini spesso di grande impatto proprio perché “grezze” e autentiche.

E sicuramente il materiale contenuto in Earthlings ha un effetto forte sullo spettatore. La voce narrante di Joaquin Phoenix, famoso attore da sempre attento ai diritti degli animali, spiega subito che il documentario si articola in cinque diverse sezioni, ognuna delle quali illustra una diversa funzione degli animali nella vita dell’uomo: compagnia, cibo, vestiario, divertimento, sperimentazione scientifica. L’obiettivo? Mostrare come e quanto l’essere umano si senta autorizzato a maltrattare, torturare, uccidere gli animali per i propri scopi.

È molto difficile riuscire ad esprimere a parole l’effetto che mi ha fatto la visione di questo documentario. Un po’ incuriosita dal tema trattato, un po’ incentivata dalla voce di Phoenix (e dalla colonna sonora di Moby), ho iniziato a guardare Earthlings convinta di vedere immagini di pacifica convivenza tra uomo e animale, come accade per la maggioranza di prodotti di questo genere. Le mie aspettative però sono state assolutamente disattese: Monson bombarda lo spettatore con immagini crude, violente, spesso fastidiose. Le riprese parlano da sole, non esiste modo per descriverle.

Nella prima parte, “Compagnia”, viene mostrata la condizione di cani e gatti nei canili e negli allevamenti, quali sono le condizioni igieniche di questi luoghi, e anche come vengono soppressi gli animali quando sono in soprannumero. La seconda, “Cibo”, tocca l’argomento delicato degli allevamenti e del consumo di carne. Sporcizia, cannibalismo, mutilazioni varie aspettano mucche, maiali, pecore, capre e pollame; essi vengono picchiati, torturati fisicamente e psicologicamente, e uccisi in maniera tutt’altro che rapida e indolore. Anche i pesci non sono risparmiati: basti pensare alla mattanza dei tonni nei nostri mari, o al terribile destino che aspetta i delfini pescati nei mari giapponesi. “Vestiario” racconta di come i nostri capi di abbigliamento di pelle vengono creati: le bestie vengono ingabbiate e lasciate impazzire, a volte sono ancora in vita quando viene loro tolta la pelle. “Divertimento” mostra la penosa vita degli animali da circo: picchiati, incatenati, maltrattati in ogni modo, e puniti più che severamente quando tentano di ribellarsi. L’ultimo capitolo, quello dedicato alla sperimentazione scientifica, descrive gli esperimenti che vengono abitualmente eseguiti da centri di ricerca, e le pratiche di vivisezione.

Le immagini crude del documentario, mostrando realtà che magari cerchiamo di non vedere, denunciano il trattamento ingiusto riservato dagli esseri umani al resto del mondo animale: spesso concepiamo il rapporto uomo-natura come una relazione padrone-servo che giustifica eccessi e barbarie, credendo che emozioni e sofferenze siano caratteri esclusivi di noi umani. Non è così: più volte è stato dimostrato che tutti gli esseri viventi dotati di terminazioni nervose provano dolore, e che dunque un delfino fatto a pezzi con il machete soffre esattamente quanto una mucca macellata ancora viva. O come un uomo.

Lo scopo del documentario di Monson è spingere lo spettatore ad aprire gli occhi: fingere che tutto questo sia un’invenzione o banale complottismo è impossibile e scorretto. Certo non bisogna generalizzare: in molti paesi i controlli sono estremamente accurati, e fenomeni estremi come quelli illustrati nel lavoro di Monson sono rari se non assenti. L’unica strada percorribile, in ogni caso, è quella dell’informazione; solo prestando maggiore attenzione a quello che mangiamo, indossiamo, compriamo, vediamo non ci rendiamo complici di un sistema che, oltre ad essere eticamente sbagliato, va contro la nostra stessa natura. In fondo, si tratta di non dimenticare l’importanza di essere terrestri.

 

Per saperne di più: http://www.nationearth.com/

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