“Scarti” di Jonathan Miles

71DcLgyFxDLdi Barbara Andreotti

Entrando in una qualsiasi libreria non è difficile trovare testi che parlino in maniera più o meno esplicita di ecologia e di ambiente. Alcuni “strillano” l’argomento sin dal titolo, promettendo al lettore meravigliosi paesaggi e storie che ci riappacifichino con il mondo che abitiamo, o che ci illustrino scenari catastrofici causati dal nostro eccessivo sfruttamento della terra e della natura. Tutti i lettori, a prescindere dal tipo di libro che prediligono, sono soddisfatti: raccolte di poesie, saggi, biografie, autobiografie, romanzi; insomma tutti i generi sono capaci di parlarci di natura, ambiente e del mondo in cui ci muoviamo.

Sicuramente Scarti di Jonathan Miles può rientrare in questa categoria: il titolo italiano è piuttosto esplicito, mentre l’originale inglese Want Not è più sottile, poiché si rifà ad un detto che tradotto significa “se non sprechi quello che hai, non dovrai più desiderarlo” (“waste not, want not”). È chiaro che si parlerà di rifiuti, ma sin dai primi capitoli è altrettanto chiaro che l’argomento verrà trattato in maniera assolutamente originale.
Il romanzo infatti conta diversi protagonisti che conducono vite assolutamente differenti e lontane tra loro, eppure hanno in comune un aspetto: lo spreco, che sia esso materiale o spirituale. Tre sono le storie principali, presentate a rotazione un capitolo dopo l’altro, che al loro interno si frammentano in quelle dei singoli personaggi: la prima è quella di Talmadge e Micah, una giovane coppia che vive mangiando solo la frutta e la verdura recuperati dai sacchi dell’immondizia abbandonati sui marciapiedi di New York. La loro routine verrà sconvolta dall’arrivo di un vecchio amico di Talmadge, che metterà in crisi il loro rapporto e soprattutto le loro scelte. La seconda è quella di Elwin, linguista sovrappeso e infelicemente divorziato, che dopo aver investito erroneamente una cerva si ritrova ad adottare forzatamente il figlio dei vicini, ad affrontare la malattia del padre e a cercare un modo per segnalare alle future generazioni un deposito di rifiuti tossici, tutto questo mentre cerca di consumare poco per volta la carne che ha ottenuto dalla bestia che ha ucciso. La terza quella di Sara, vedova, ricca, infelice, che non riesce a perdonare il marito morto e non ama il nuovo compagno Dave e che senza neppure accorgersene perde anche il contatto con la figlia adolescente.

Tutti i personaggi rimangono “relegati” nelle loro storie, senza incrociare mai quelle degli altri, se non sfiorandole appena: non si conoscono tra di loro, non sanno chi sono, eppure tutti si trovano per le mani lo stesso problema degli scarti da smaltire o da recuperare. Sì, perché tutto può essere recuperato, che sia una vecchia maglia buttata via con noncuranza o il rapporto tra un padre e un figlio.
In un’accezione estesa della riduzione dello spreco, Miles cerca appunto di dimostrare non solo la possibilità e la convenienza del riciclo di oggetti nelle nostre vite, ma anche la necessità di aggiustare queste ultime senza gettarle via: un ottimo metodo per inquinare di meno la nostra mente con il dolore e la tristezza. Quindi, prima di buttarci nella spazzatura, forse è bene provare ad aggiustarci.

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