“Il pianeta verde”: chi sono gli extra-terrestri?

laBelleVerte

di Fabio Dellavalle

La Belle Verte (Pianeta Verde) è una commedia fantaecologica della regista, sceneggiatrice e attrice (di cinema, teatro e opera) francese Coline Serreau.
Il film, uscito nel 1996, provoca lo spettatore su molti fronti, costringendolo a rivedere usi e costumi dello stile di vita occidentale. Esso prende infatti di mira certe abitudini che, nel cosiddetto Primo Mondo, appaiono assolutamente “normali” ma in realtà, da un altro punto di vista, si palesano irrazionali o, quantomeno, discutibili. Così facendo, l’opera offre molti spunti interessanti per una riflessione semiseria su alcuni paradossi del nostro tempo, mostrando in un certo senso la povertà della civiltà opulenta in termini di relazioni umane (e con altri esseri viventi), salute psicofisica integrale e servizi ecosistemici offerti dalla biodiversità. L’epoca altamente industrializzata (definita nel film “preistoria”), se osservata da una prospettiva propriamente straordinaria, svela le fallacie dell’ideologia capitalista e il falso mito della crescita economica quantitativa a tutti i costi.

In questo caso, le lenti insolite attraverso cui osservare la società dei consumi sono gli occhi e, in senso lato, i pensieri, di una vera e propria aliena (anche se a nostra immagine e somiglianza, potremmo dire). La protagonista è infatti Mila, una donna extraterrestre che soggiorna in un mondo lontano denominato Pianeta Verde. I suoi abitanti sono identici agli uomini dal punto di vista fisico. Essi sono però lontani anni luce (non solo spaziotemporalmente) dai terrestri, in quanto a evoluzione mentale e morale. Assai progrediti a livello scientifico, i “verdiani” possiedono una notevole saggezza: privi di cupidigie egoistiche, si astengono dal superfluo, accontentandosi delle risorse del pensiero (inesauribili) e di quelle che dona loro la Natura (limitate e non sempre rinnovabili, come sappiamo bene).

La Grande Casa in cui abitano assomiglia in effetti a un Eden: un giardino paradisiaco, rigoglioso di manti erbosi e fertili boschi, dove scorrono placidi ruscelli d’acqua cristallina (non è un caso che in italiano “lussureggiante” sia anche sinonimo di “verdeggiante”. Per inciso, non è forse pleonastico ricordare che le scene del film sono state pur sempre girate SU QUESTO PIANETA; nel dettaglio in Francia e Australia. Come a dire: «Ricordiamoci che il nostro incantevole pianeta è finora l’unico di una tale bellezza e ricchezza di vita. Dunque teniamocelo stretto!»). Qui le persone vivono intensamente a contatto con gli elementi naturali, nonché coi loro simili, aiutandosi reciprocamente e condividendo il cibo. Come in gran parte delle utopie immaginate nella storia, non esiste proprietà privata: gli individui sono armoniosamente organizzati in famiglie numerose, che formano una comunità legata da una forte solidarietà. Tale società è inoltre post-industriale, senza gerarchie, stress né sfruttamento.

Ogni anno sul Pianeta Verde si tiene un’assemblea plenaria. Questa volta si decide di visitare gli altri pianeti della galassia. Ma quando è il momento di stabilire chi dovrà recarsi sul pianeta azzurro, cioè la Terra, nessuno si offre volontario. Gli anziani (qui si vive fin dopo ai 250 anni) raccontano del periodo napoleonico, contraddistinto da guerre di conquista, disordine e intolleranza. Ora si tratta di verificare sul campo se la situazione sia nel frattempo migliorata. Mila, vedova e madre di due figli, si propone per la spedizione.

La protagonista giunge quindi nella Parigi di fine XX secolo, in una tipica giornata postmoderna, ossia frenetica e caotica. D’istinto Mila inizia a tossire, poiché i suoi polmoni faticano a respirare in mezzo al traffico e allo smog prodotto dalle marmitte della automobili. In un certo senso, la naturalità del suo corpo si ribella impulsivamente ai limiti intollerabili dell’inquinamento metropolitano. È questa un’esperienza che purtroppo i cittadini di molti centri urbani oggi non possono più provare, ormai assuefatti dalla mal-aria che circola tra asfalto, marciapiedi di cemento, fabbriche fumanti e grattacieli che oscurano il sole. Il primo impatto di Mila con la civiltà umana è perciò decisamente shoccante. La donna riesce comunque a comunicare con gli esseri umani, grazie alle sue eccezionali capacità mentali. In particolare, ella si avvale di una speciale pratica chiamata “disconnessione”, che scuote le persone intorpidite dal presente, le quali si scrollano di dosso i propri ruoli consueti e le etichette prestabilite dalla società. Lo scopo della “disconnessione” è appunto quello di far aprire gli occhi alla gente, in modo che si renda finalmente conto delle contraddizioni insite in una condotta esistenziale quasi dimentica delle più basilari leggi fisiche e della necessità fisiologica di un equilibrio con la natura.

Non trovando né acqua né cibo – nutrimenti essenziali con cui un organismo si mantiene in vita –, Mila si dirige in un ospedale per “ricaricarsi” attraverso le energie fresche dei neonati. Dopo una serie di divertenti imprevisti e avventurose peripezie, riesce poi a rintracciare i suoi due figli, capitati per sbaglio tra gli aborigeni australiani nel tentativo di seguirla. Si scoprono infine le origini terrestri della protagonista e, viceversa, la provenienza realmente aliena di alcuni illustri personaggi approdati sulla Terra, quali Gesù e Bach.

Il pregio principale del film è certamente la leggerezza con cui tocca un tema davvero drammatico e delicato come la devastazione della biosfera e dei suoi preziosi ecosistemi. Avvalendosi di un registro comico e ironico, l’opera compie una satira umoristica della società industriale e consumistica. In particolare, osserva e descrive le assurdità e le irrazionalità di un “benessere” che, portato all’esasperazione, degenera in un autentico malessere: malattie psicosomatiche, problemi sociali, disuguaglianze economiche, burocrazia kafkiana, sfruttamento senza ritegno delle riserve ambientali per citarne solo alcuni. Il lungometraggio è quindi una critica sbeffeggiante della civiltà occidentale, che ci mostra l’insostenibilità di determinati comportamenti con un sorriso, senza cioè la disperazione catastrofistica di film apocalittici quali, ad esempio, 2012 o The Day After Tomorrow. Il suo obiettivo è di conseguenza quello di farci vedere la nostra quotidianità di sbieco, affinché possiamo renderci conto che l’aumento di Pil (prodotto interno lordo) non corrisponde automaticamente a un miglioramento della qualità della vita.

Tramite la tecnica narrativa dello straniamento e l’espediente dell’esternalità, Serreau sottolinea così l’alienazione dell’attuale modus vivendi. Detto altrimenti, la regista smaschera alcuni miti del consumismo postmoderno: logiche e atteggiamenti ridicoli e insensati, che sovente passano però inosservati a noi trottole distratte e stordite da un continuo flusso di immagini e informazioni.

Il difetto del film si trova nel fatto che tende a  dipingere con toni eccessivamente bucolici l’idilliaco stato di natura del Pianeta Verde, ripresentando un’idealizzazione tipizzata del buon selvaggio immerso in un’arcadia fisiocratica. Insomma, il comfort di una vita agiata è garantito senza dubbio anche da tecnologia e benessere materiale, forieri di un reale progresso. D’altra parte, l’intento della Serreau è proprio quello di raffigurare una dimensione iperbolicamente diversa dal mondo odierno, cosicché il confronto sia più sbalorditivo. Ma la società disegnata sul Pianeta Verde assume più le sembianze di una comune che di una comunità auspicabilmente desiderabile.

Dimenticavo: l’altro pregio del film è che si può guardare online su https://vimeo.com/29255063!

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